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Il diritto al cibo tra India e Cina

Olivier De Schutter, esperto nominato dall’ONU sul diritto al cibo basandosi su uno studio dell’Oakland Institute, India, Cina e Stati Uniti hanno comprato o affittato un’area di terra nell’Africa sub-sahariana della grandezza della Francia, investendo in Etiopia, Tanzania, Sud Sudan, Mali e Mozambico. La Cina, crescente potenza mondiale con la sua popolazione di 1,3 miliardi, deve attuare delle misure per non sopperire alla crisi globale del cibo, avendo da poco superato l’obbiettivo di combattere la povertà per la maggioranza della sua popolazione.


L’India, al contrario, vicina a raggiungere l’1,1 miliardi di persone, non vanta questo traguardo ma ha eguagliato la Cina in termini di potere che esercita come mercato di massa. Insieme, le due nazioni asiatiche devono nutrire più di un terzo della popolazione mondiale. In tempi di esplosione dei prezzi alimentari, le loro stesse dimensioni rendono la crisi ancora più preoccupante. Non è difficile immaginare ciò che accade ai prezzi, quando le due grandezze mondiali per numero di abitanti comprano in modo aggressivo tipologie di cibo non di primaria necessità: nei paesi più pericolosamente poveri del mondo, carne e grano sono diventati prodotti di lusso inaccessibili, mentre la fame e le rivolte per il cibo sono destinate a peggiorare. L’autore Raj Patel, il cui libro ‘I padroni del cibo’ getta uno sguardo critico al settore alimentare globale, avverte che ciò che si sta manifestando a macchia di leopardo nelle zone più povere del mondo, non è altro che ‘un segno di cose a venire’. Dal gennaio 2009 la Cina ha bloccato l’esportazione di grano applicando nuove imposte, sperando di garantire la sicurezza all’approvvigionamento alimentare nazionale con l’utilizzo di quote d’esportazione, sovvenzioni per gli agricoltori e controllo dei prezzi. A questo si aggiunge una politica di stretto controllo sulla terra satellite utilizzata per scopo agricolo, affinchè non si trasformi in terreno edificabile. Nessuna di queste misure, però, può essere ritenuta efficace a lungo termine: Cina e India, di fronte all’aumento di popolazione e alla diminuzione di terre agricole, sono sempre più dipendenti dalle importazioni alimentari estere. Pechino, per sfamare il paese, necessita, infatti, di 120 milioni di ettari (una zona delle dimensioni del Sud Africa) di terra coltivabile che, nonostante sia attualmente disponibile sul suolo cinese, è destinata a scomparire giorno per giorno sotto il cemento. Così come stiamo esaurendo i nostri pozzi di petrolio, stiamo anche gestendo male i nostri terreni, creando nuovi deserti. L’erosione del suolo come risultato di sovraaratura e la cattiva gestione del territorio stanno minando la produttività di un terzo dei terreni agricoli mondiali. Quanto è grave? Guardando le immagini satellitari scopriamo che esse mostrano due nuove enormi ciotole di polvere: una si estende attraverso la Cina settentrionale e occidentale e la Mongolia ad ovest, l’altra in Africa centrale. Wang Tao, studioso cinese di desertificazione, riferisce che ogni anno circa 1.400 chilometri quadrati di terra nel nord della Cina diventano deserto. La civiltà può sopravvivere alla perdita delle sue riserve petrolifere, ma non può sopravvivere alla perdita delle sue riserve di suolo. Nel 2010 l’analisi della Banca Mondiale ha riferito che un totale di quasi 140 milioni di acri – un’area che supera il terreno dedicato alla cultura di mais e frumento assieme negli Stati Uniti- sono stati coinvolti in questa “appropriazione di terre”, “land grabbing”. Queste acquisizioni coinvolgono, di conseguenza, il diritto all’acqua, alterando gli equilibri tra i Paesi per la distribuzione di tale risorsa. Per esempio, l’utilizzo dell’acqua estratta dalla parte superiore del bacino del fiume Nilo per irrigare le coltivazioni in Etiopia e Sudan non raggiungerà più l’Egitto, ribaltando la politica d’acqua del Nilo, già delicata, con l’aggiunta di nuovi paesi con cui l’Egitto dovrà negoziare. Il potenziale conflitto – e non solo per l’acqua – è alto. Molte delle offerte per il territorio sono state fatte in segreto e, nella maggior parte dei casi, il terreno in questione era già in uso dagli abitanti del villaggio prima che fosse venduto o affittato e coloro che lo coltivavano non venivano informati o consultati sulle nuove disposizioni. Inoltre, in molti paesi in via di sviluppo non è prassi che vi siano titoli di proprietà formali per le terre, spesso organizzate in villaggi, e dunque gli agricoltori che hanno perso la loro terra hanno poco sostegno nel portare i loro casi in tribunale. “We must escape the mental cage that sees large-scale investments as the only way to develop agriculture and to ensure stability of supply for buyers,” dichiara Olivier De Schutter , consulente esperto ONU sul diritto al cibo, riguardo le preoccupazioni della società civile sui “land grabs”.

Commercial pressures on land are rapidly growing. Biofuels, large-scale infrastructure projects, carbon-credit mechanisms, and speculation lead to rapid changes in land rights, creating new threats for vulnerable land users. Climate change and population growth will exacerbate tensions within countries and between them.

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